La vita dell'altro by Enrico Terrinoni

La vita dell'altro by Enrico Terrinoni

autore:Enrico Terrinoni [Terrinoni, Enrico]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2022-12-08T00:00:00+00:00


6.

SENILITALIA

Qualcosa di subliminale, di ancestrale, lega a Joyce le sorti del secondo libro di Svevo. Non solo una vicinanza di temi che vedremo, come la gelosia o la commistione tra bohème e strati popolari della società. Fra i due volumi scalcinati che Svevo consegnò a Joyce nell’autunno del 1907, Senilità fu quello in grado di scatenare maggiormente l’immaginazione dell’irlandese e a lungo. Svevo ebbe modo di farlo poi ripubblicare, dopo la “riscoperta” internazionale della Coscienza dovuta proprio a Joyce. E dobbiamo partire da qui, dal futuro.

La seconda edizione di Senilità – in realtà dovremmo considerarla la terza, se contiamo anche quella pubblicata a puntate sull’Indipendente – uscì nel 1927. Non è certo una riscrittura della precedente, ma presenta comunque delle differenze. Queste sono dovute in gran parte a un lavoro di limatura e revisione per cui Svevo si rivolse a un noto intellettuale locale, il cui nome è fondamentale anche per Joyce. Ma andiamo per ordine.

Nonostante gli apprezzamenti che aveva ricevuto dall’irlandese molti anni prima, anche quando raggiunse una certa notorietà di scrittore Svevo continuò a sentire su di sé il peso delle critiche costanti rivolte negli anni al suo strano italiano: quella di avere un eloquio influenzato molto dalla parlata locale ad esempio, e non soltanto, com’è stato detto, gravato da un pensiero attanagliato a strutture linguistiche proprie del tedesco. La scrittura di Svevo era talvolta suonata inaccurata, ostica, legnosa a orecchi abituati a un altro tipo di lingua pensata come “nazionale”, e certo più vicina al fiorentino che al triestino. Va tenuto però presente che fu proprio quel tipo di lingua peculiare, adoperata e parlata da Svevo, ad aggiungere fascino al romanzo per un Joyce che sarebbe sempre rimasto attratto da quegli accenti. Anche lui si dilettava a mescolare italiano e triestino, e lo faceva persino la sua signora.

Nel bel ricordo di Giovanni Comisso della cena in onore di Svevo a Parigi nel 1928, l’irlandese ci viene descritto in maniera assai poetica e toccante: “la piccola bocca sottile è incoronata d’un leggero argento”, e prova “vivo piacere di parlare in italiano, la lingua che ha parlato per dodici anni e che è la lingua ufficiale della sua famiglia”. A un certo punto “la conversazione si arresta perché la minestra è in tavola” e Comisso scopre che il posto assegnatogli “è vicino a quello della sua signora”, anche lei “felice di parlare italiano” ma “il suo accento è triestino”. È lo stesso ricordo che ha Livia, di quella cena: “accanto a Joyce era seduta la moglie, felice di parlare di nuovo con me il dialetto triestino.” Giusto qualche anno prima, Joyce aveva scritto a Svevo una lettera esilarante, in parte stilata in triestino, per chiedergli di recapitargli una valigia piena di appunti fondamentali per il completamento dell’Ulisse: “se ghe xe qualche d’un de Sua famiglia che viaggia per ste parti la mi faria un regalo portando nel fagotto che non xe pesante gnanca per sogno parché, La mi capisse, ze pien de carte che mi go scritto pulido.” In



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